Scatti rubati ad un attimo chiamato vita...

 

Pomeriggio di fine estate passato a innamorarsi di Gianni Berengo Gardin.

Un nome che ,ammetto, non conoscevo ma che per caso ho incrociato sui miei passi veloci e stanchi sul suolo di Palazzo Reale.

Dietro quella porta vista  tutte le mattine, si estendeva semplicemente un capolavoro di inestimabile ricchezza per l'anima. 

Berengo Gardin ,considerato il maestro del recentemente scomparso Gabriele Basilico, ligure girovago forse un po scanzonato, che ha dedicato il lavoro di una vita a raccontare la realtà senza censure. 

Nemmeno quando ritrae la gente dei manicomi, esseri umani considerati mostri per la società che Gardin riporta allo stato di soggetti umani di grande dignità. Immagini di uomini di luoghi vacui, tetri che un po ricordano quelli ritratti nei quadri di Van Gogh in cui non esiste presenza umana ma solo silenziosi cortili in cui ne urla ne pianti sembrano turbare la quiete della natura.

La gente è il soggetto ricorrente: visi di personaggi famosi  e ritratti di gente comune che lavora, che vive; ammassata nelle piazze affollate della Milano del '68. Fotografie di un'Italia più combattiva e più vera forse, genuina come lo è la terra; quella Emiliana per esempio, ritratta in una delle sue foto più semplici ma allo stesso tempo ricercatissima.

Gardin ama definirsi " testimone della sua epoca " da buon fotoreporter : "ogni persona, paesaggio, architettura e oggetto che ho fotografato mi ha insegnato qualcosa".

E ora questo "qualcosa " può essere trasmesso a noi. 

 

A me è arrivato!